mercoledì 8 ottobre 2014

Ho letto: Alla conquista di Compostela di Barret e Gurgand

Chi tra coloro che hanno percorso tutto o in parte il cammino di Santiago di Compostela non ha pensato, almeno per un istante, nelle lunghe ore di marcia tra mesetas, campi, boschi, salite e discese, alle migliaia di pellegrini che fin dal medioevo hanno posato i piedi su quelle stesse pietre?

Pierre Barret e Jean Noel Gurgand, due storici francesi piuttosto importanti, dopo un lungo e meticoloso lavoro di ricerca tra archivi, testamenti e diari di viaggio, hanno ricostruito le storie di alcuni personaggi che hanno calcato uno dei cammini più antichi e famosi in Europa e che ne hanno, in qualche modo, lasciato testimonianza scritta.
La stesura del testo è piuttosto interessante e raccoglie le varie esperienze dei pellegrini che, nel medioevo come nel 1700, si sono ritrovati ad affrontare problemi, a visitare luoghi, ad incontrare persone e a vivere sensazioni che scopriamo essere non troppo diverse da quelle che proviamo noi oggi ripercorrendo quegli stessi tratti.

Il mal di piedi, la fame, la paura di essere rapinati, la gioia per un panorama speciale, l’entusiasmo per gli ultimi chilometri prima della meta si scoprono essere più o meno gli stessi oggi come allora. Quando leggiamo che, arrivando a Roncisvalle dopo la salita da Saint Jean Pied de Port qualcuno non ha trovato rifugio ed ha dovuto proseguire, poco importa se ciò è avvenuto nel decimo, quattordicesimo, sedicesimo o ventesimo secolo, possiamo capire perfettamente la fatica, lo scoramento e la delusione. Così come l’attraversamento delle mesetas, gioia e paura di tutti i pellegrini, o la salita sui monti della Galizia, con freddo e vento sempre in agguato. E poi l’arrivo a Santiago, la meta, per tutti la stessa meta immutata da secoli, ma nessuno che si fermi mai più di un paio di giorni. Per alcuni arriva presto l’ora di rimettersi in marcia per tornare a casa, a piedi ovviamente, per altri è invece il momento di proseguire, ma il Santo che tanto si è immaginato, atteso, cercato, non chiede mai a nessuno di fermarsi troppo al suo cospetto. Basta poco ed è già ora di andare.

I due autori hanno percorso il cammino di Santiago da Vezelay nel 1977 quando il Cammino era immerso nell’oblio, i pellegrini venivano scambiati per malviventi e l’ospitalità non era da darsi per scontata come forse avviene oggi. Stupisce leggendo nelle ultime pagine del libro il diario dei due storici e accorgersi che tra noi e loro sono passati molti meno anni rispetto a quanti ne sono trascorsi tra loro ed i pellegrini dei secoli passati, eppure, il loro viaggiare, mi è parso più simile a quello che al nostro. Camminare senza conoscere con certezza la strada, senza frecce gialle o conchiglie stilizzate che indichino la via, non sapere se si troverà da dormire e da mangiare, dover chiedere ospitalità al sindaco piuttosto che al parroco senza che questa sia frutto di un’organizzazione funzionante come avviene oggi, poco a che vedere con ciò che viviamo oggi sul Cammino.

Insomma negli ultimi anni il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela ha visto uno dei periodi di maggior frequentazione, anche grazie alla ristrutturazione dei percorsi ed alla rete di rifugi pubblici e privati a disposizione dei pellegrini e questo ha tolto quasi del tutto il “rischio” della partenza. Certo è faticoso camminare per tanti chilometri e le vesciche ed i tendini fanno male oggi come allora – anzi, forse un tempo erano anche più abituati – ma partiamo con la certezza che troveremo da dormire in qualche modo e anche da mangiare, che in un momento qualunque possiamo prendere un taxi o un bus per arrivare al paese successivo e che con poche ore di aereo potremmo essere addirittura a casa senza doverci preoccupare del ritorno tanto quanto dell’andata. Non parliamo poi dell’attrezzatura! Quanti pellegrini hanno consumato le scarpe sulle vie per Compostela, quanti sono arrivati davanti alla tomba dell’Apostolo a piedi scalzi! Quanti sono tornati a casa con addosso solo uno straccio o pochi panni consunti! Un solo mantello per il freddo e per la pioggia, una zucca cava per l’acqua ed un bordone utile non tanto per il cammino quanto per cani, lupi ed altri animali dai quali si correva il rischio di essere aggrediti. Noi ci incamminiamo con le scarpe migliori, zaini ultra leggeri, bastoni da trekking e sacchi a pelo confortevoli. Un’ultima cartina al tornasole, se ce ne fosse bisogno, della differenza tra i cammini di allora e quelli di oggi? Quanti oggi, prima di partire per Santiago, fanno testamento? Ecco, una delle maggiori fonti di informazioni circa i pellegrinaggi verso Santiago sono stati i testamenti redatti prima della partenza e questo dovrebbe bastare per comprendere la consapevolezza con cui affrontavano questo viaggio.
Alla conquista di Compostela è un libro avvincente che sarà particolarmente apprezzato da chi è già stato in quei luoghi perché potrà riconoscersi in quei pellegrini medievali. Ma alla fine cosa distingue il pellegrino moderno da quello antico? Secondo gli autori:
 “…la fede è quel che più ci manca per ritrovarci nelle condizioni di quei pellegrini. Essi vivevano sulla strada una grande avventura, alimentata da preghiere e canti di strada che davano cuore alle gambe e mantenevano il contatto con l’aldilà, punteggiato di miracoli, di reliquie, di leggende. Essi seguivano la stella.”
Alla conquista di Compostela 
di Pierre Barret e Jean Noel Gurland
ed. Piemme 2000
pagine 352

Nessun commento:

Posta un commento